È uno dei nostri tre missionari in Brasile morto lebbroso e ricordato in una cappella laterale della chiesa del Sacro Cuore in V.le Piave a Milano insieme a fra Daniele da Samarate e fra Marcellino da Cusano Milanino.
Nacque a Ispra il 27 gennaio 1880 dalla famiglia Brughera che gestiva una cartiera nel paese. La famiglia, dopo la morte del padre nel 1881, ebbe varie traversie, e Mario, così si chiamava p. Ignazio, dovette interrompere gli studi elementari, frequentare un istituto privato e fare lo scrivano della cartiera. Ma nel 1894 iniziò il noviziato presso i padri Rosminiani sul Colle del Calvario a Domodossola e nel giugno del 1895 vestì l’abito di novizio chierico. Nel 1897 venne però dimesso per motivi di salute. Le urgenti necessità della famiglia lo costrinsero a impiegarsi presso una latteria vicino ai cappuccini di Monforte a Milano. Dopo un breve periodo di servizio militare optò per entrare tra i cappuccini che aveva appunto conosciuto a Milano e iniziò il noviziato a Lovere con la vestizione nel 1901 e la professione temporanea nel 1902. Al termine del percorso formativo nel giugno del 1909 ricevette l’ordinazione sacerdotale. Si recò in missione nel Maranhão del Brasile nel 1910 dove svolse un grande apostolato: fu parroco desobrigante di Vitoria e Arary, nel basso Mearim. Nel 1913 fu trasferito a Barra do Corda e poi a Belém e qui conobbe p. Daniele da Samarate, lebbroso, che accompagnò, il 27 aprile 1914, nel lebbrosario di Tocunduba. Fu in questo periodo che, assistendo i lebbrosi, venne colpito lui stesso dal morbo. Ma egli continuò il suo lavoro apostolico. Nel 1915 fu inviato a Canindé nel Ceará addetto al santuario di S. Francesco e divenne parroco dei fuggiaschi a causa di una tremenda siccità scoppiata nell’interno dello Stato. Nel 1916 ricevette l’ordine di ritornare in Italia. A Recife il vescovo di Floresta lo volle con sé nella visita alla sua diocesi e p. Ignazio passò stabilmente all’obbedienza di questo vescovo. Così nel 1917 iniziò la sua vita parrocchiale nelle vastissime regioni di Pernambuco, costruì chiese, cappelle, aprì nuovi cimiteri, catechizzò, predicò, andò in desobriga, tenne corsi di missioni. Nel 1923 andò in Italia e gli venne confermata la sua lebbra. Tentò di ritornare in Brasile, non fu accolto sulla nave. Egli, chiuso in un ospedale a Milano, fuggì segretamente, andò a Roma per ottenere da Mussolini il permesso. Il Duce lo accolse e gli promise un aiuto. Il 31 maggio p. Ignazio riuscì a imbarcarsi a Genova. Giunse a Rio de Janeiro, voleva sostituire p. Daniele nel lebbrosario di Tocunduba, ma giunto nel Pará dovette tornare a Recife e il vescovo lo mandò a lavorare nella sua diocesi ed egli lo fece con grande intensità. Poi fu costretto a ritirarsi in marzo 1928 a Sitio Caldeirao perché la malattia stava diventando pericolosa. Nel 1929 ricevette la medaglia d’oro e la stampa internazionale incominciò a interessarsi di lui. Nell’ottobre del 1931 rifece la professione religiosa rientrando giuridicamente nell’Ordine. Con viaggio avventuroso e doloroso in maggio-giugno 1934 giunse nel lebbrosario di Cannafistula (Ceará) e qui morì vittima di carità il 13 gennaio 1935.