Altri tre grandi missionari da ricordare in questi giorni:
19 maggio: F. DANIELE ROSSINI DA SAMARATE, VEN. (1876-1924)
Nato il 15 giugno 1876 dai genitori Rossini a S. Macario, da lì si trasferì con i suoi a Samarate. Entrò nell’Ordine nel 1891 e a Lovere fece l’anno di noviziato; nel giugno del 1892 emise la sua prima professione religiosa, e nel luglio del 1896, nel convento di Brescia, fece la professione definitiva. Ancora chierico, dopo un incontro col superiore della missione del Brasile padre Rinaldo da Paullo, ottenne di partire come missionario nel 1898. Destinato a Canindé, nello Stato del Cearà, lì ricevette il diaconato, e quindi, nel marzo del 1899, nella cattedrale di Fortaleza venne ordinato sacerdote. Celebrò la prima messa nel santuario delle stimmate di San Francesco a Canindé. Si prodigò con tutte le sue forze nel ministero apostolico e gli fu affidata la conduzione della Colonia S. Antonio del Prata nello Stato del Pará in piena foresta, e vi rimase dal 1900 al 1913 appassionato evangelizzatore dei coloni e degli indios, prudente e saggio amministratore, direttore dei collegi femminile e maschile, superiore della fraternità. Affrontò momenti critici per realizzare un ambiente di vita cristiana, di lavoro, di educazione, con l’aiuto anche delle suore cappuccine. Costruì il Collegio femminile, la chiesa dedicata a S. Antonio di Padova, introdusse macchine agricole, fece arrivare la ferrovia, il telefono. Lavorando nell’assistenza dei lebbrosi, anche lui contrasse il contagio, confermato in Italia dai medici nel 1909 dopo essere stato pellegrino a Lourdes dove, dopo aver chiesto il miracolo, sentì chiaramente nel cuore che non sarebbe guarito, ma la sua malattia sarebbe stata a maggior gloria di Dio. Ritornato in Brasile nel 1913 fu trasferito a São Luis nel Maranhão per avviare una nuova parrocchia. Ma un incidente rivelò il progresso della malattia e la necessità di ritirarsi in un lebbrosario. Andato a Belém nel Parà e ricevuto in convento, ma la paura del contagio era grande anche tra i frati. E così nell’aprile del 1914, dopo aver baciato piangendo le mura del convento, padre Daniele venne accompagnato nel lebbrosario di Tucunduba, a due chilometri da Belém, per abitare nella casetta chiamata “Rétiro San Francisco”. Per sette anni, in qualità di parroco dei lebbrosi, si prodigò nella loro cura spirituale. I lebbrosi arrivavano fino a 300, e inizialmente gli fecero guerra, lo pensavano uno spione e controllore dei loro traffici, ma presto trovarono in lui l’uomo di Dio che conforta, perdona, assiste e dona pace e amore. Dopo dieci anni di permanenza in quel luogo miserevole, si addormentò serenamente e santamente nel Signore il 19 maggio 1924. Venne sepolto nel cimitero di Santa Elisabetta a Belém. Nel 1989 i frati cappuccini decisero di chiedere l’apertura della Causa di beatificazione. Con padre Apollonio Troesi vice postulatore ci fu una grande ricerca di testimoni e di documentazione, e dopo tutta la necessaria trafila, papa Francesco il 23 marzo del 2017 proclamava l’eroicità delle virtù conferendo a padre Daniele il titolo di Venerabile.
20 maggio: F. CARLO ROVEDA DA S. MARTINO OLEARO (1852-1931)
Novant’anni sono passati dalla morte di Padre Carlo da S. Martino Olearo, iniziatore della missione dei cappuccini lombardi nel Nord/Nord-Est del Brasile.
Nacque l’11 aprile 1852 a Vigliano (parrocchia di S. Martino Olearo, una frazione del comune di Mediglia, in provincia di Milano) e per questo è detto di S. Martino Olearo, secondo l’antica usanza fratesca di abbinare al nome proprio il nome del paese di origine. Vestì l’abito cappuccino nel convento della SS. Annunciata di Borno il 25 gennaio 1873 col nome di Carlo Maria e fece la professione di voti semplici nel febbraio del 1874; ancor prima della professione solenne, emessa nel convento di Albino nel febbraio del 1877, ottenne di essere ordinato sacerdote il 22 agosto 1875. Svolse con successo i primi anni di ministero in provincia, ma aspirava alla missione del Brasile che il procuratore generale p. Bruno da Vinay aveva richiesto alla provincia lombarda, e così ottenne dal p. Generale, anche contro il parere del definitorio provinciale, l’autorizzazione per partire. Papa Leone XIII nell’udienza del 12 gennaio 1892 affidava ufficialmente alla provincia di Milano l’antica prefettura di Pernanbuco che comprendeva il cosiddetto “Nordeste” del Brasile e una missione da stabilirsi tra gli indios dell’Amazzonia. Il 10 dicembre 1892 p. Carlo con p. Alfonso da Castel di Lecco salpava da Genova. Era uomo di vasta cultura, di grande intelligenza, instancabile nelle fatiche apostoliche, ben preparato già dagli uffici svolti in provincia come definitore, vicario conventuale, direttore degli studenti e insegnante a Bergamo. Fu proprio lui a dare una soluzione nuova alla missione, per cui egli passa nella storia delle Missioni cappuccine come il fondatore della Missione del Maranhão, estesa per merito suo agli Stati del Cearà, del Parà, dell’Amazzonia. In data 16 agosto 1893, lasciando lo stato di Pernambuco, raggiungeva São Luis, la capitale del Maranhão, dove, dopo un po’ di tempo e non senza fatica, ottenne l’antico convento dei carmelitani, detto appunto del Carmo e vi si stabiliva, richiamando anche gli altri frati. La chiesa, dedicata alla Madonna del Monte Carmelo, divenne come la chiesa madre di tutta la missione. Così, la missione non si sarebbe più chiamata di “Pernambuco”, ma “Missione del Maranhão”, titolo reso ufficiale con decreto del 12 maggio 1894. Nel maggio del 1895 si insediò, per evangelizzare gli indios, a Barra do Corda dove mancava il parroco da 20 anni. Incominciò ad assistere i fedeli sparsi su un territorio vastissimo; con la “desobriga” raggiungeva una volta all’anno tutti perché potessero adempiere il precetto pasquale con viaggi di immensi sacrifici. Da Barra do Corda raggiungeva gli indios e li convinceva a mandare i loro figli nel collegio ivi predisposto per una loro educazione umana e cristiana. Penetrando nella foresta aprì una Colonia ad Alto Alegre (1 giugno 1896) e qui costruì un collegio femminile curato dalle suore cappuccine di Santa Francesca Rubatto e una colonia agricola per avviare al lavoro gli indios. Purtroppo questa colonia, mentre p. Carlo era superiore di tutta la missione, fu sconvolta dal massacro del 13 marzo 1901 in cui frati, suore, laici e molti fedeli, anche tra gli stessi indios, perirono.
P. Carlo ricevette la ferale notizia a São Luis, dove era giunto dal Parà. Si recò subito a Barra do Corda e sul luogo dell’eccidio e fu una spada terribile al suo cuore e un grosso colo per la sua salute mentale. Perdette quasi completamente la memoria e si chiuse nel silenzio e nella preghiera dedicandosi al ministero della confessionale. Nel frattempo si erano aperte già altre stazioni: nel 1898 la colonia S. Antonio del Prata nel Parà, simile ad Alto Alegre come organizzazione pastorale. Nello stesso anno il santuario di Canindé, nello stato del Cearà e nel 1901 il santuario del Sacro Cuore in Fortaleza sempre nel Cearà, la fondazione di Ourem, nel Parà, che aprì due collegi. E c’erano già state le prime puntate esplorative per poi stabilire una dimora provvisoria a Manaus nell’Amazzonia. Tornato in Italia verso la fine del 1901 e ritiratosi nel convento di Salò per riposo, già pensava di riprendere il lavoro apostolico. Ritornato in Brasile, si stabilì a Belém dove rimase, punto di riferimento pastorale e spirituale, per ben 27 anni, cioè fino alla morte che lo colse nel pomeriggio del 20 maggio 1931.
21 maggio: MONS. MILESI LUCA DA SAN GIOVANNI BIANCO (1924-2008)
Luca Milesi nacque a S. Giovanni Bianco, diocesi di Bergamo, il 21 aprile 1924. I genitori, Domenico e Domenica Zanoletti nel battesimo lo chiamarono Italo. Fu ammesso al noviziato dei cappuccini a Lovere nel luglio del 1941 ove l’abbo successivo professò. Emise la professione perpetua a Lenno nel luglio del 1945 e fu ordinato sacerdote a Milano il 4 marzo 1950. Partì missionario nel 1952 per l’Eritrea. Nel 1971 fu eletto vice provinciale e poco tempo dopo Amministratore Apostolico del Vicariato Apostolico di Asmara e in questa funzione restò per 24 anni senza essere consacrato vescovo, dal 1971 al 1995. In quell’anno fu creata la nuova eparchia (diocesi) di Barentù e mons. Luca ne fu il primo vescovo per sei anni. Fu ordinato vescovo il 4 febbraio 1996. La tragedia della guerra fra Eritrea ed Etiopia con ricorrenti periodi di siccità e caristia specie nel 1983-1984 mise a dura prova il suo ministero. Nel 1998 la guerra riprese aspra e mons. Luca con la sua gente dovette abbandonare la città quando ormai la chiesa e le opere parrocchiali erano in costruzione. Ritornato a guerra finita trovò tutto distrutto e depredato. Nell’ottobre del 2001 rinunciò al governo pastorale dell’Eparcato di Barentù per raggiunti limiti di età, ma rimase nella diocesi con l’umile incarico di parroco di Ebarò, un villaggio sperduto tra le montagne. La morte sopraggiunse mentre si trovava ad Asmara il 21 maggio 2008.