Omelia nella festa di Tutti i Santi Francescani
+ Luigi Padovese
Caravaggio 29.11.04
[…] Il giorno di oggi, in particolare, ci richiama alla testimonianza dei santi francescani e dovrebbe servire per rinnovare il nostro ‘propositum vitae’, sottraendoci all’inevitabile routinizzazione del ‘carisma’. Proprio i santi che oggi ricordiamo sono un segno di ottimismo nelle possibilità che ciascuno di noi ha. Siamo invitati a guardarli per scoprire il santo che potenzialmente è dentro di noi, oltretutto facciamo parte della stessa famiglia. “Credere – scriveva il teologo Pierre Gisel – significa sapersi generato”, percepirsi cioè all’interno di una discendenza credente, in un processo di continuità che garantisce il senso dell’appartenenza e indica le mete da raggiungere
Certo diventa sempre più difficile lasciarsi dire da uomini e donne del passato qual è la strada da percorrere. Oggi ogni individuo nella sua vita è portato a crearsi un proprio sistema di valori[1] a plasmarsi un’identità che non gli è «data» ma che diviene un compito. Evidentemente, rinunciando all’appoggio della comunità che è portatrice di valori assieme alla comunità, si perdono anche i valori che essa trasmette[2]. L’identità da cosa data diviene un compito anche se poi gli individui, abbandonati a se stessi, non sono sempre in grado di assolverlo. Non meraviglia che questa situazione ingeneri stati d’incertezza, di paura, di rinuncia ad assumersi responsabilità dinanzi alle quali ci si sente impari, inadeguati. Il senso della vita non è dunque più la realizzazione di un progetto poiché i progetti «legano» mentre si vuol essere liberi, anche se poi s’ignora a cosa serve la libertà o non si è in grado di sopportarne le conseguenze.
Un aspetto legato a questo individualismo è il profondo senso di solitudine che investe le persone. Le ansie, i timori sono privatizzati. Ciascuno è chiuso in sé; ha diritto – come si dice – alla sua privacy che, non di rado, è un termine elegante e neutrale per esprimere noncuranza verso gli altri.
Mi pare s’innesti in questo contesto la nostra funzione oggi e che raccolgo in poche espressioni: quella di essere custode della memoria, testimone di speranza, ricercatore di Dio, costruttore di comunità, cristiano libero e liberatore.
a. Custode della memoria. Contro la dissoluzione del tempo nell’istante e dinanzi alla perdita del senso della continuità, le comunità religiose, oggi più che nel passato, devono ergersi come custodi della memoria e della continuità evitando però il ripiegamento restituzionista o l’irrigidimento settario. La fedeltà al proprio carisma, precisa Vita consecrata I 36-37, dev’essere una fedeltà creativa, dinamica, che sa rispondere alle esigenze del momento senza allontanarsi dall’ispirazione iniziale".
Non si tratta di sanare o tenere in piedi vecchi edifici storici. La memoria dev’essere sempre profetico-critica. Essere custodi della memoria, nella fedeltà alla Tradizione, non significa ripetere e tramandare senza creatività e senza attenzione all’uomo d’oggi il patrimonio della fede cristiana, dal momento che il ruolo della Tradizione "è quello di attualizzare il passato nel presente, di restituire, nel ‘mondo vissuto’ la memoria viva di una fondazione che lo fa esistere nel presente"[3]. Sono i valori che vanno conservati e non il loro rivestimento che può variare a seconda dei momenti e dei tempi. Ce lo ricorda l’esortazione apostolica Vita consecrata (I 37) quando specifica che "gli istituti sono invitati a riproporre con coraggio l’intraprendenza, l’inventiva e la santità dei fondatori e delle fondatrici come risposta ai segni dei tempi emergenti nel mondo d’oggi".
b. "Testimone della speranza". Dai nostri fratelli e sorelle della famiglia francescana apprendiamo che la loro vita si è eretta sul principio ‘speranza’. Proprio questo termine è stato il più ricorrente nel linguaggio degli ultimi due sinodi (quello sull’Europa e quello sui vescovi). E lo si capisce, dal momento che molti uomini oggi vivono sotto l’ombra del pessimismo e della disperazione. Già l’apostolo Pietro invitava i cristiani nell’essere "sempre pronti a rispondere a quelli che vi chiedono spiegazioni sulla speranza che avete in voi" (1Pt 3,15). Non è detto che si debbano offrire spiegazioni a chi ci interpella su quanto crediamo, ma su quanto speriamo. E la ragione è semplice: mentre la fede potrebbe debordare in semplici idee, in un pensato lontano dal vissuto, la speranza è strettamente legata alla vita. Ne specifica le scelte, indica i valori che la supportano. Si rende ragione della speranza che abbiamo soltanto attraverso la vita. E’ questa che parla. Il religioso che costruisce la sua vita sulla ‘promissio’ di Dio, intende poi questa vita come una ‘missio’: chi spera, vivendo proclama ciò in cui spera e per questa strada aiuta gli altri a sperare. Mi pare s’innesti qui la nostra funzione come ‘testimoni e servitori della speranza; una funzione legata alla scelta del "Regno" che è già, ma pure "non ancora" e che serve per relativizzare tanti assoluti che l’uomo di oggi si costruisce per dare fondamento stabile al suo esistere.
c Ricercatore di Dio. E’ un fatto che la vita religiosa è centrata nella ricerca di Dio che passa attraverso la sequela di Cristo povero, casto, itinerante e obbediente al Padre. Ciò non significa che questa vocazione fa dei religiosi una èlite. La sequela, infatti, riguarda tutti i cristiani, anche se non tutti sono chiamati a una radicalità come permanente norma di vita. Sia il cristiano laico come il religioso sono chiamati semplicemente a ratificare e ad approfondire le promesse battesimali che riguardano tutti. A ogni cristiano è proposto il duplice precetto dell’amore di Dio sopra tutte le cose e dell’amore del prossimo come se stessi. Se vi sono differenze vanno appunto ricercate nell’intensità di vivere questi comuni impegni. Sono le modalità che creano distinzione, non la meta che è uguale per tutti. Certo la funzione della vita religiosa, proprio per il suo carattere di radicalità espresso dai voti, dev’essere di testimonianza. Il compito del religioso oggi è quello di decifrare la sete di assoluto che ogni uomo si prota dentro. Tutti hanno in sé un infinito desiderio, come lo chiamava S. Caterina da Siena, cioè un’ansia, un’inquietudine, una fame e una sete che niente e nessuno potrà pienamente colmare. Tutti la sentono, ma non tutti capiscono da dove viene. Bisogna che qualcuno la interpreti e la indirizzi. Il senso della vita religiosa è un ancora di più. Come direbbe S. Romualdo: "noi abbiamo scelto un ancora di più". In una società come la nostra in cui esiste un "politeismo di valori", il nostro compito consiste nel dare il nome di Dio e di Gesù a questo infinito desiderio di gioia che fa di ogni uomo un mendicante.
d. Costruttore di comunità. A motivo della loro scelta siamo chiamati a garantire il senso di comunità all’interno di una Chiesa che, vista esternamente, potrebbe apparire soltanto istituzione, struttura. Le comunità religiose, soprattutto oggi in un mondo che produce individui sempre più isolati, sempre più soli, devono essere un antidoto contro il veleno del’individualismo che porta a considerare la fede una faccenda privata. Il significato della comunità è quello di dare il senso dell’appartenenza e di confermare nella propria identità, di rispondere a un bisogno di comunione che tutti ci portiamo dentro. Martin Buber parlava della comunità come "luogo della teofania": è il luogo dell’appartenenza, dell’accoglienza, dell’apertura, della cura degli altri e della crescita nell’amore. Quando uno ha la sensazione di non appartenere a nessuno, soffre di un isolamento che porta all’angoscia. Nasce così il senso di inutilità, di collera e di odio. Chi non si sente amato crede di non essere amabile, di essere cattivo e questo isolamento si trasforma rapidamente in colpevolezza. Evidentemente non si ama la comunità in senso astratto: un tutto, un’istituzione o un modo di vita ideale. Sono le persone che contano e la comunità non può mai avere il primato su di esse: è in funzione di loro e non viceversa. Ricordo un’espressione di D. Bonhoeffer: "chi ama la comunità, distrugge la comunità; chi ama i fratelli costruisce la comunità". La comunità, insomma, sono gli altri, ciascuno degli altri, che deve essere accettato così com’è non perché rimanga tal e, ma perché attraverso la tolleranza e l’aiuto degli altri possa maturare. Il senso del vivere comunitario sta nell’imparare ad accettare le differenze, nell’imparare a confrontarsi con gli altri, nel crescere assieme. Chi fa questa scelta di vita deve divenire maestro del dialogo e testimone del valore primario dell’amicizia. E ciò è essenziale oggi in cui persino i rapporti tra le persone sono mercificati e dove uno è legato all’altro sino a tanto che può essere ‘utile’. In effetti, la mentalità odierna di tipo consumistico sviluppa l’abitudine di farci giudicare i beni (persino l’amore, l’amicizia) in base al vantaggio o al piacere che ne proviene: esempio di come i valori del mercato possono deformare il giudizio delle persone a spese dei valori più sostanziali.
Come si coglie in tutta la tradizione patristica il senso della vita religiosa è visto nel riprodurre la prima comunità di Gerusalemme dove tutti avevano un cuor solo, ogni cosa era in comune, dove tutti si sentivano testimoni della resurrezione di Gesù, godevano della simpatia popolare e nessuno di loro era nel bisogno". Questo è ancor oggi il modello ideale cui fare riferimento. Si tratta insomma di ‘mediare’ per la grande Chiesa, l’esperienza di Gerusalemme mostrando che non è un’utopia volersi bene, condividere gli stessi valori, la stessa speranza e lo stesso pane. La fede cristiana non è una faccenda privata e la comunità non è un sovrappiù cui si può anche rinunciare. Non si vive per sé, non si può essere cristiani da soli, non ci si salva senza gli altri. E’ Dio che ci ha legati. E dunque la ricerca di Dio non significa voltare le spalle agli altri. L’ascesi non è mai fine a sé stessa. La ricerca di Dio non si può disgiungere dall’attenzione e dall’amore per il prossimo. E’ unico infatti l’amore con cui si ama Dio e il prossimo. Non abbiamo due cuori.
In questo contesto il senso della vita religiosa sta proprio nell’aiutare il popolo di Dio ad acquistare un più forte sentire comunitario. Il significato della Chiesa-comunione deve trovare una esemplificazione nelle comunità religiose. Esse hanno altresì il compito di mostrare che dentro il grande apparato che chiamiamo Chiesa c’è un cuore che batte: occorre far percepire agli uomini e alle donne di oggi che dietro la realtà della Chiesa-struttura c’è il mistero della Chiesa-comunione.
d. Cristiano libero e liberatore. Come ho accennato prima oggi si parla molto di libertà, eppure questa parola è spesso fraintesa; non è comunque un concetto omogeneo; anzi è talmente esposta a fraintendimenti da indurre a credere che la crisi dell’Occidente sia una crisi dell’idea di libertà[4]. E’ una crisi tale da giungere ad individuare nella libertà la radice di ogni male. In effetti il termine ‘libertà’ è inflazionato sino alla svalutazione e spesso serve per giustificare atteggiamenti di individualismo, di spontaneismo, di totale indifferenza verso gli altri o di apparente tolleranza che tutto sommato nasconde una mentalità relativista ed anarchica, sia in ambito sociale che privato. Ebbene, il senso della nostra vita in questo contesto sociale è di tenersi liberi e critici rispetto ai condizionamenti che sono prodotti oggi. E’ vero, respiriamo la stessa aria che respirano tutti gli altri, leggiamo gli stessi giornali, vediamo la stessa televisione, eppure la funzione ‘profetica’ della vita religiosa sta nel salvaguardare la nostra libertà interiore. Se non la salviamo, non potremo neppure aiutare gli altri a divenire liberi. Insomma si tratta di essere liberi come il Maestro. Sulla bocca di Gesù la parola ‘libertà’ è del tutto assente. E, tuttavia, questo concetto impronta tutte le sue parole e azioni. Se poi la libertà costituisce ‘il tratto caratteristico’ di Gesù allora la sua libertà diventa l’elemento di verità e di autenticità del discepolo. Detto altrimenti, non si può agire e pensa re da schiavi alla sequela di un ‘libero’. E dunque, partecipare nella sequela di Gesù alla sua missione, comporta rimanere come lui, liberi, disponibili e capaci dell’amore che serve e si sacrifica
Vorrei aggiungere che salvare la libertà, nostra e altrui, significa salvaguardare la dignità dell’uomo più importante del valore del mercato che mercifica tutto e misura gli esseri in base alle loro prestazioni. Per il cristianesimo un uomo non vale per quello e fintanto che produce, ma semplicemente perché è uomo "ad immagine di Dio". Questo modo di pensare si scontra contro la mentalità odierna: tra una comunità che cerca di creare delle ‘persone’ rispetto a una società che produce degli ‘individui’ tanto più facilmente manipolabili quanto più ‘individui’, cioè ‘isolati’.
Contro il principio moderno secondo cui l’uomo è a servizio del mercato, si erge la proposta del vangelo con la sua scoperta di ogni persona davanti a Dio e con l’affermazione del suo incommensurabile valore. L’assicurazione e la chiave di lettura del cristianesimo e del suo messaggio di speranza che come religiosi dobbiamo vivere e annunciare sta proprio qui: nel sapersi scelti da Dio prima della creazione del mondo (Ef 1,4), nel sapersi chiamati ad essere simili al Figlio suo per partecipare alla sua gloria (cf. Rom 8,30). La porta d’ingresso nel mondo è l’elezione; la porta d’uscita l’eredità promessa (Ef 1,14). Si entra in quanto scelti, si esce in quanto figli e, come tali, eredi con Cristo (cf Rom 8,17). E’ su queste due verità predicate dalla Scrittura che si erge la speranza cristiana. In fondo, chi cerca di vivere la fiducia nel Dio predicato da Gesù apre ad altri esperienze redentive di liberazione, di felicità. Soprattutto fa capire loro che dietro le cose che passano, in e sopra tutto ciò che è insicuro e passeggero c’è una realtà stabile, c’è un Tu sul quale possiamo sempre appoggiarci ("tu sei con me", Salmo 23). Oggi è soprattutto l’esperienza dei santi francescani a ricordarcelo.
[1] Cf D. HERVIEU-LEGER, Il pellegrino e il convertito. La religione in movimento (trad. dal francese), Mulino, Bologna 2003, 28
[2] Cf R. BOUDON, Declino della morale? Declino dei valori? (trad. dal francese), Mulino, Bologna 2003, 10
[3] D. HERVIEU-LEGER, Religione e memoria (orig.franc. 1993), Bologna 1996, 138.
[4] Cf R.BULTMANN, Il significato… 627.