Mons. Angelo Pagano, Frate Minore Cappuccino della Provincia di Lombardia, è Vicario Apostolico (Vescovo) di Harar, in Etiopia, dove è responsabile di tutte le opere sociali del Vicariato. Precedentemente era giunto in Etiopia come Missionario dal Camerun.
Sua è l’idea di costruire un grande panificio industriale in Etiopia a Dire Dawa.
Nel Paese, nonostante i grattacieli di Addis Abeba comunichino uno sviluppo incipiente, la carenza di cibo è gravissima. Le cause sono molteplici, dalla siccità all’altissima inflazione che ha portato perfino la materia prima del pane a costi proibitivi.
Lo stabilimento, dedicato a St. Augustin, sorgerà su un terreno di 500 metri quadri appartenente al Vicariato Apostolico e dovrà avere una capacità produttiva di 300 tonnellate per colmare l’enorme divario fra domanda e offerta di pane su tutto il territorio.
Vi lavoreranno decine di etiopi e i profitti sosterranno le opere sociali missionarie locali per i più poveri: orfanotrofi, scuole, ospizi, e ospedali. Due apprendisti, Tewodros, 24 anni di Addis Abeba e Abiy, 23 anni di Asebe, sono arrivati da pochi giorni a Milano, proprio per imparare a fare il pane.
Dichiara Mons. Pagano:“Il pane è vita, amicizia, lavoro, pace. Ringraziamo la famiglia Marinoni che ci ha messo a disposizione l’esperienza e la rete di amici e collaboratori che in nome della solidarietà hanno aderito con gioia e totale disponibilità alle iniziative ‘Pane in piazza’ e panificio St.Augustine’’.
Mons. Pagano spiega così il progetto St.Augustin:”In Etiopia la forbice economica è grande. Il Paese in pochi anni ha quasi raddoppiato la popolazione, che oggi è di 100
milioni di persone, per la maggior parte giovani che aspirano a studiare e lavorare.
La Diocesi affidatami dal Santo Padre, una delle 13 presenti nel Paese, è grande, si estende per 266.000 chilometri quadrati. Abbiamo orfanotrofi, scuole con circa 6.000 alunni indigenti, due ospedali per i più poveri gestiti dalle suore di Madre Teresa di Calcutta, una casa per anziani. Un nostro panificio permetterebbe di non comprare più il pane, di dare lavoro ai giovani, specie agli orfani.
In Etiopia il consumo del pane, come lo facciamo noi in Occidente, sta prendendo piede, in più grazie a una produzione industriale, il nostro pane costerebbe meno,
pertanto l’iniziativa avrebbe successo ed eventuali utili potremmo reinvestirli contro povertà e fame”.