L’accorata e toccante testimonianza di suor Maria Chiara Ferrari che ci scrive da Gerusalemme, in quella terra dove si trova da molti anni. Ha 68 anni, è una piccola sorella di Gesù di Charles de Foucault originaria di Paratico sul lago d’Iseo
Cari amici,
la comunione con voi durante questi mesi di guerra, guerra di cui ancora non vediamo la fine, è senza
dubbio uno dei segni della presenza del Signore che non ci abbandona. Grazie a voi tutti, che in diverse maniere avete manifestato la vostra attenzione, la vostra solidarietà, a voi che siete stati fedeli nel ricordo
con la vostra preghiera.
Vi invito, anzi vi chiedo in nome dell’amicizia che ci lega, a mantenere vivo il ricordo di questa Terra Santa e Crocifissa nella vostra preghiera. Non solo perché è parte dei conflitti e delle guerre che insanguinano il mondo oggi, ma perché in un certo senso li rappresenta tutti, concentrando in questo minuscolo paese un carico di tensioni inimmaginabile. A questa terra siete legati anche voi, poiché essa rimane per noi il luogo storico della nostra fede. Luogo a partire dal quale noi crediamo, speriamo e attendiamo il ritorno del Signore alla fine dei tempi. Ma anche in questo tempo: il ritorno della Pace per tutti i popoli, della giustizia per gli oppressi e della Misericordia per tutti quelli che lo invocano. Vi scrivo mentre camminiamo ancora al buio. I quasi 5 mesi trascorsi non hanno portato soluzioni, ma distruzione e morte, come sapete.
Gerusalemme, la Città Vecchia, rimane per lo più chiusa e silenziosa, salvo i bambini che vanno e vengono da scuola, e qualche negozio che apre qualche ora al giorno. Ma tutto ciò che è legato al turismo e ai pellegrinaggi non ha ripreso finora. Camminando per queste vie deserte e tra le porte chiuse si respira qualcosa di irreale. È la sensazione che ci accompagna dall’inizio. È come trovarsi in un luogo “sospeso”, quasi un limbo da dove si attende una liberazione e una vita nuova. E dove in questo momento
la gente continua a temere che il peggio possa ancora arrivare. Nello stesso tempo, la città non è calma e gli episodi di violenza all’interno e all’esterno delle Mura continuano. La mancanza di lavoro e l’estrema
precarietà per il futuro sono solo i danni “collaterali” della tragedia. Forse non bisogna sottovalutare nemmeno l’abolizione di ogni tipo di festività pubblica, che ha avuto il suo culmine a Natale per i cristiani, i volti sempre tristi e tesi delle persone, la paura che continua a stringere con la sua morsa la vita e il cuore della gente. Non sentiamo più le voci e le musiche gioiose dei fidanzamenti e matrimoni e nascite… avvenimenti che si vivono ora come “in fretta e quasi di nascosto”, e con un sottofondo di timore…
Molta gente è malata di tristezza, alcune persone diventano più dure e più chiuse, più radicali nelle convinzioni… altri, soprattutto chi può ancora avere un lavoro e un minimo di sicurezza, reagiscono con coraggio. Una grande preoccupazione per la Chiesa sono i cristiani che partono o sperano di partire appena possibile (non pochi) …. Spesso sono le donne a salvare le situazioni, a creare un clima di accoglienza e d’amore là dove è troppo difficile sperare.
In certi istanti della notte o dell’alba, o anche della giornata, quando tutto è nel silenzio e si alza solo la voce del muezzin come un grido, mi ricordo la parola delle lamentazioni su Gerusalemme: “Come sta solitaria la città un tempo ricca di popolo… Piange amaramente nella notte…” Lam.1,1ss.
Ma tutto questo è solo la conseguenza della tragedia in corso. Cito qui le parole di un monaco di Don Dossetti, residente nel paese: “Non ci si mette a discutere di argomenti anche importanti nel momento
in cui la casa brucia… È ciò che viviamo in questo momento… Gli avvenimenti hanno superato il limite della disumanità e perciò siamo attoniti e sentiamo il bisogno di silenzio. Bisogno di silenzio non per evitare di parlare ma per cercare di partecipare a una immane sofferenza ed evitare di trasformare in discorsi una sofferenza indicibile…”. Credo che queste parole riassumano l’essenziale di ciò che sentiamo e sperimentiamo noi che abitiamo qui, che restiamo qui, e che ci troviamo confrontati quotidianamente a noi stessi anzitutto, alla nostra coscienza, con le domande irrisolvibili e il forte senso di dolore e impotenza di fronte agli avvenimenti.
Tocchiamo in questo tempo più che mai il bisogno e il limite del comprendere davvero la storia e l’uomo, e noi stessi, e ci dobbiamo arrendere alla nostra piccolezza. Anche la nostra fede può essere provata dalla tentazione, e attraversare il turbamento profondo della Passione. Come i passanti: Il Dio crocifisso, impotente a salvare sé stesso e gli altri, scenda ora dalla Croce! Come il salmista” Fino a quando, Signore? Salvami dai miei nemici…”. Come Gesù: Dio mio Dio mio perché mi hai abbandonato? Nel quotidiano,
e portando questa realtà nel cuore, la nostra forma di resistenza consiste semplicemente nel rimanere vicini, nel tentativo di sostenere gli altri attraverso la presenza, la compassione… la stessa che sentiamo sgorgare per noi dal volto di quell’Uomo Crocifisso.
Suor Maria Chiara Ferrari